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Tra le competenze dell’Emotional Manager vi è anche l’opportunità di intervenire in azienda per implementare le procedure per la prevenzione e gestione dello stress lavoro correlato in ottemperanza a quanto previsto dal dgl. 81/08
L’Emotional Manager è la figura che affianca leader, manager, RSPP e responsabili delle HR per la prevenzione e tutela del lavoratore in merito allo stress lavoro-correlato e definisce i giusti modelli organizzativi e gestionali che garantiscono il “work life balance” creando conseguenze positive per le risorse umane e per le organizzazioni.
L’Emotional Manager coadiuva il management nell’adempimento formale e valutazione reale dei rischi emozionali.
LA VALUTAZIONE DEI RISCHI DA STRESS LAVORO CORRELATO.
(Dott.ssa Silvana Toriello)
PREMESSA
Com’è noto, il Decreto Legislativo 81/2008 recepisce in materia di stress lavoro correlato l’Accordo europeo del 2004 e pone due norme di fondamentale importanza per il tema e cioè l’articolo 15 ( Misure di tutela) e l’articolo 28 comma 1 ( valutazione dei rischi). La questione ha costituito oggetto di ampio dibattito per le ragioni che passiamo ad illustrare.
DEFINIZIONI E QUADRO NORMATIVO
L’articolo 2 lett. o) del D. Lgs. 81/2008 definisce “salute : quello stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia od infermità. Questa nozione di salute comporta uno sforzo di attenzione ben maggiore e più ampio da parte del datore di lavoro rispetto a quanto accadeva in passato. Per consentire il raggiungimento del benessere del lavoratore sarà necessario adottare strumenti di indagine nei confronti del lavoratore più personalizzati ( come test o colloqui etc.) unitamente ad un maggior coinvolgimento del medico competente. L’art. 28, comma 1 del D. Lgs 81/08 statuisce che la valutazione dei rischi “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”
A prescindere dal fatto che questa valutazione dei rischi non può non tener conto della nuova definizione del concetto di salute, essa pone, peraltro, in capo al datore di lavoro un obbligo preciso di valutazione dei rischi da stress lavoro correlato che ha fatto sorgere numerosi dubbi di interpretazione ed applicazione in quanto i parametri individuati anche nell’accordo europeo del 2004 ed in quello interconfederale del 2008 che lo recepisce contengono criteri troppo generici per poter su di essi fondare un obbligo che è penalmente sanzionato.
In base alle previsioni del D. Lgs 81/2008 la disposizione è divenuta operativa a far data dal 16 maggio 2009 creando sconcerto e pratiche difficoltà presso tutti i datori di lavoro.
E’ per tale ragione che il D. Lgs. 106/2009 correttivo del Decreto 81 statuisce espressamente che sarà la Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro di cui all’articolo 6 del D. Lgs. 81/2008 ad elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro correlato. La valutazione del rischio in questione, pertanto, entrerà in vigore a far data dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque anche in assenza di dette elaborazioni a far data dal 1° agosto 2010.
In merito è stato sottolineato da qualcuno ( Antonucci in “Il testo unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D. Lgs. 106/2009)” Ed. Giuffrè) che sarebbe auspicabile che la Commissione in questione precisasse che “sotto un profilo prettamente giuridico l’obbligo di valutazione del rischio stress lavoro correlato, in ottemperanza al dettato letterale di cui al citato art. 28 , riguarda gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress lavoro correlato e non il singolo lavoratore che potrebbe avere una sua peculiare percezione delle condizioni di lavoro”.
LA DEFINIZIONE DI STRESS E STRESS LAVORO CORRELATO
In attesa che la Commissione si costituisca e detti le linee guida per la valutazione del rischio facciamo qui una sintesi del punto di attivo del dibattito sviluppatosi sul tema, partendo dal ricordare che dati recenti forniti dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e Salute sul Lavoro ci dicono che nell’Unione europea più di un lavoratore su quattro soffre di stress legato all’attività lavorativa, e che tale stress è tra le principali cause di problemi di salute, dell’aumento dell’assenteismo, della riduzione della produttività – con il rischio di minare la competitività delle aziende. L’accordo interconfederale del 9 giugno 2008 che recepisce l’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato concluso l’8 ottobre 2004 tra UNICE/UEAPME, CEEP e CES definisce lo stress e lo stress lavoro correlato secondo quanto segue.
- Lo stress è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro.
- L’individuo è assolutamente in grado di sostenere una esposizione di breve durata alla tensione, che può essere considerata positiva, ma ha maggiori difficoltà a sostenere una esposizione prolungata ad una pressione intensa. Inoltre, individui diversi possono reagire differentemente a situazioni simili e lo stesso individuo può reagire diversamente di fronte a situazioni simili in momenti diversi della propria vita.
- Lo stress non è una malattia ma una situazione di prolungata tensione, può ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute.
- Lo stress che ha origine fuori dall’ambito di lavoro può condurre a cambiamenti nel comportamento e ad una ridotta efficienza sul lavoro. Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo stress lavoro-correlato può essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione, ecc.
Soffermiamoci su queste definizioni.
Lo stress
Il termine “stress”, ampiamente usato anche nel linguaggio corrente con significati spesso in contrasto tra loro, è stato introdotto in biologia da W. B. Cannon, ma solo successivamente ebbe una definizione univoca grazie al fisiologo di origine austriaca H. Selye che adottò il termine per la prima volta sulla rivista “Nature” e che, nel 1936, interessandosi alle risposte fisiologiche degli organismi dietro somministrazione di sostanze nocive, introdusse in medicina tale concetto che poi si estese ad altri ambiti.
”Il termine stress deriva dal latino strictus, il cui significato letterale è ‘serrato’, ‘compresso’. Nel XVII secolo per gli anglosassoni stress aveva il significato di ‘difficoltà’, ‘afflizione’; studi più recenti nel campo della fisica lo riconducono ad un concetto utilizzato in metallurgia, dove si usa ‘mettere sotto stress’ le travi metalliche per provarne la resistenza. In altri termini tensione e ‘deformazione’ si producono ogni volta che una forza incontra una resistenza. La definizione che diede Selye dello stress lo identificava come “la risposta non specifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata ad esso”. Egli aveva evidenziato come gli animali, sottoposti a condizioni di stress, fossero più soggetti ad ammalare. Studi successivi a quelli di Selye hanno dimostrato che questo fenomeno si evidenzia come una risposta dell’organismo alle continue stimolazioni (stressor/stimoli) che provengono dall’ambiente e che minano l’equilibrio interno inducendo una situazione di crisi, qualora non si riesca a far fronte ai cambiamenti ed alle pressioni dell’ambiente cui si è sottoposti. Per quanto concerne le caratteristiche dello stress, sempre Selye – che può, senza ombra di dubbio, essere considerato il padre della ricerca sullo stress – fu il primo ad identificare due diverse tipologie di stress che lui chiamò distress o stress negativo ed eustress o stress positivo. Lo stress negativo o distress si ha quando stimoli stressanti, ossia capaci di aumentare le secrezioni ormonali, instaurano un logorio progressivo fino alla rottura delle difese psicofisiche. Si evidenziano cioè situazioni in cui “le condizioni di stress, e quindi di attivazione dell’organismo, permangano anche in assenza di eventi stressanti oppure che l’organismo reagisca a stimoli di lieve entità in maniera sproporzionata”. Lo stress positivo o eustress si ha, invece, quando uno o più stimoli, anche di natura diversa, allenano la capacità di adattamento psicofisica individuale. L’eustress è una forma di energia utilizzata per poter più agevolmente raggiungere un obiettivo e l’individuo ha bisogno di questi stimoli ambientali che lo spingono ad adattarsi.”
Secondo le prime concettualizzazioni risalenti al 1936, il processo stressogeno si articola in tre fasi: una prima fase di allarme, in cui il soggetto segnala l’esubero di doveri e mobilita le risorse per adempiervi; una seconda fase di resistenza in cui stabilizza le sue condizioni e si adatta al nuovo tenore di richieste, una fase conclusiva di esaurimento con la caduta delle difese, la comparsa di sintomi fisici come la spossatezza, fisiologici come la caduta immunitaria, emotivi come ansia, senso di impotenza e sfiducia. Secondo Selye lo stress non può e non deve essere evitato perché costituisce l’essenza stessa della vita, perciò non è una condizione patologica dell’organismo, anche se in alcune circostanze può produrre patologia, come quando lo stimolo agisce con grande intensità e per lunghi periodi. L’importanza delle emozioni nelle reazioni di stress ha originato il concetto di “stress psicologico” che differisce da quello fisiologico in quanto la risposta dipende dalla valutazione cognitiva del significato dello stimolo. Gli stimoli che raggiungono l’organismo vengono, infatti, valutati cognitivamente dal punto di vista del loro significato prima di produrre una reazione emozionale.
Lo stress,dunque, non è una malattia (eustress) ma in determinate condizioni può ridurre l’efficienza sul lavoro e le condizioni di benessere, fino a determinare vere e proprie patologie. Si genera allora lo stress negativo o distress che si manifesta quando il soggetto percepisce uno squilibrio tra le richieste dell’ambiente e le risorse personali disponibili.
Lo stress lavoro correlato
Le condizioni di lavoro possono ingenerare distress.
Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro correlato, dice la norma. Lo stress lavoro correlato può essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione ecc.
Il rischio psicosociale che ne è alla base è di tipo trasversale in quanto, oltre a provocare danni per la salute da tempo ampiamente documentati, può avere anche una influenza sugli infortuni in quanto lavorare in condizioni prolungate di stress può produrre un abbassamento dei livelli di vigilanza. In generale i rischi psicosociali lavoro correlati riguardano alcuni aspetti della progettazione e gestione del lavoro e i suoi contesti organizzativi e sociali che possono causare danni psicosociali e/o fisici ( COX e Griffith). “In linea con questa definizione l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (EASHW, 2003) sostiene che l’esposizione allo stress da lavoro, così come agli altri principali rischi psicosociali a esso correlati (es. burnout, mobbing, violenza), è sostenuta principalmente dalle seguenti fonti stressogene organizzative cui corrispondono specifiche condizioni di rischio indicate in parentesi (Hacker, 1991):
a. Contesto di lavoro
- Cultura e funzione organizzativa (es. mancanza di definizione degli obiettivi organizzativi)
- Ruolo nell’organizzazione (es. ambiguità e conflitto di ruolo)
- Sviluppo di carriera (es. promozione insufficiente o eccessiva, insicurezza dell’impiego)
- Autonomia decisionale/controllo (es. partecipazione ridotta ai processi decisionali)
- Rapporti interpersonali sul lavoro (es. conflitto interpersonale, assenza di supporto sociale)
- Interfaccia casa/lavoro (es. richieste contrastanti tra casa e lavoro)
b. Contenuto del lavoro
- Ambiente e attrezzature di lavoro (problemi inerenti le strutture e le attrezzature di lavoro)
- Progettazione dei compiti (es. monotonia, lavoro frammentato o inutile, incertezza elevata)
- Carico e ritmi di lavoro (es. carico di lavoro eccessivo o ridotto, elevata pressione temporale) – Orario di lavoro (es. lavoro a turni, orari di lavoro senza flessibilità o prolungati)
L’ analisi e gli interventi su questi temi tendono sempre di più a considerare la salute dell’individuo e quella dell’organizzazione in modo integrato. Dunque, accanto alla salute fisica delle persone e alla produttività delle aziende occorre considerare altri importanti aspetti psicosociali che completano e rinnovano le visioni e gli approcci riguardanti la salute organizzativa.
Data questa premessa, la chiave per affrontare lo stress legato all’attività lavorativa va ricercata nell’azienda e nella gestione del lavoro, proprio perché è stato dimostrato da più parti quanto sia meglio promuovere pratiche salubri e prevenire i danni dello stress legato all’attività lavorativa piuttosto che affrontarne le conseguenze, umane e organizzative, a posteriori.
In generale, la prevenzione primaria mira a fronteggiare lo stress cambiando elementi nel modo in cui il lavoro è organizzato e gestito; la prevenzione secondaria tende a sviluppare le capacità individuali di gestione dello stress mediante una formazione specifica; gli approcci riconducibili alla prevenzione terziaria tendono a ridurre l’impatto sulla salute dei lavoratori dello stress da lavoro sviluppando appropriati sistemi di riabilitazione e di “rientro al lavoro” e aumentando i provvedimenti in ambito di salute occupazionale (da Puntosicuro).
La valutazione dei rischi da stress lavoro correlato
Di modelli e di progetti per questa specifica valutazione ne sono stati proposti tanti. Con vivo interesse saranno recepite le indicazioni che fornirà la Commissione permanente tanto più rilevante se si pensa che la Risoluzione del Consiglio europeo del 25 giugno 2007 relativa ad una nuova strategia Comunitaria sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (2007-2012) ha ribadito , tra gli obiettivi prioritari da perseguire, il proseguimento del dialogo sociale sulla prevenzione della violenza e le molestie sul luogo di lavoro e la valutazione e l’implementazione dell’Accordo Europeo fra le parti sociali sullo stress lavoro correlato. Diversamente dagli altri Paesi europei che hanno ormai maturato significative esperienze in materia l’Italia non ha ancora una strategia condivisa in attesa delle determinazioni che assumerà la Commissione.
D’altronde la questione è sicuramente complessa tanto è vero che lo stesso accordo europeo ritiene di non poter fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress ma solo rileva che un alto assenteismo, una elevata rotazione del personale, conflitti interpersonali o lamentele frequenti sono alcuni dei sintomi che possono rivelare la presenza di stress. Sottolinea altresì che l’individuazione di un problema di stress potrà avvenire attraverso una analisi di fattori quali l’organizzazione e i processi di lavoro, le condizioni e l’ambiente di lavoro, la comunicazione ed i fattori soggettivi.
La responsabilità di adottare le misure adeguate è rimessa al datore di lavoro con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti. Il datore di lavoro dovrà programmare una politica aziendale specifica in materia di stress e/o attraverso misure specifiche mirate per ogni fattore di rischio individuato.
Sul piano generale valutare il rischio da stress lavoro correlato vuol dire attivare un processo conoscitivo e decisionale che prevede l’individuazione di indicatori misurabili delle manifestazioni del fenomeno in esame. Si devono valutare eventuali condizioni di lavoro che, per intensità, frequenza, qualità rendono insufficienti le risorse individuali e sociali per fronteggiare la situazione.
Sarà un’ indagine dell’intera condizione di lavoro con la finalità di eliminare i rischi o ridurli alla fonte e deve essere basata su criteri scientifici esplicitati nel documento di valutazione dei rischi. L’obiettivo è, come si è detto, realizzare la prevenzione primaria e cioè la rimozione degli agenti che potrebbero attivare il rischio . Si esercita a monte sulle azioni organizzative preordinate . Opera non sui soggetti ma sul contesto in cui i soggetti agiscono. In tal senso sarà diversa in relazione alla dimensione aziendale e quindi si differenzierà in funzione della numerosità degli addetti. Procederà secondo le indicazioni che emergono dallo stesso Accordo europeo ad una ricognizione delle informazioni necessarie sul piano organizzativo, con informazione dei lavoratori a tutti i livelli e vera e propria indagine volta ad individuare i fattori stressogeni con conseguente pianificazione degli interventi da effettuare per la riduzione, eliminazione dei fattori di rischio stressogeni alla fonte. Si completerà con l’attuazione degli interventi individuati compreso il monitoraggio dell’adeguatezza delle misure adottate (Emanuela Fattorin ISPESL).
L’accordo europeo accenna anche alle misure da adottare e le individua in misure di gestione e di comunicazione dove il riferimento è alla comunicazione organizzativa, nella formazione di dirigenti e lavoratori per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e/o per adattarsi al cambiamento, nella informazione e consultazione dei lavoratori quest’ultima utile al fine di individuare misure di cambiamento organizzativo in un range più ampio di quello che si potrebbe presentare al datore di lavoro in relazione a quella che è la sua personale veduta sul modello ideale di organizzazione del lavoro.